martedì 2 agosto 2011

Washington day

Anche stamattina la sveglia è suonata puntuale alle 7. Il Dani è sceso in strada per spostare Lady Picca (il parcheggio era valido fino a quell'ora), ma arrivato alla macchina con la Bea ha trovato una poliziotta che si aggirava per la via. Non abbiamo capito se per venti
minuti è scattata la multa oppure no... speriamo nella buona sorte che da sempre ci accompagna (siamo a posto, allora).
Colazione da Starbucks, poi adesivo alla fermata della metro (nota positiva: la metro è pulita e tenuta in ordine, e per la struttura arch
itettonica particolare del soffitto merita una foto). Sbuchiamo direttamente sul National Mall. Washington è certamente una città monumentale, ma, al di là delle colonne del Campidoglio, è anche una città sufficientemente piccola da portarci una birra o un drink assieme agli amici. Quando qualcuno dice “Washington D.C.”, e vi vengono in mente tutte quelle cose che nell’immaginario collettivo sono gli Usa (edifici bianchi, grandi bandiere, il monumento di Abraham Lincoln e il bacino d’acqua in cui essi di rispecchiano), per la precisione quello che vi è venuto è in mente è il National Mall . Si tratta del grande spazio pubblico degli Stati Uniti, dove i cittadini vengono a manifestare contro il governo, a passeggiare al sole, a visitare i musei e a prendere confidenza con i simboli dell’unità nazionale (cit. Lonely Planet). Il Lincoln Memorial e Capitol Hill delimitano i tre chilometri di questa distesa erbosa: al centro dello specchio d’acqua si trova il Washington Monument, che ha fatto da sfondo al discorso di Martin Luther King “I have a dream” nel 1963.



E' una splendida giornata di sole, e nonostante l'aria che tira e che ci spettina, ben presto comincia a fare caldo. La vista è spettacolare: alla nostra destra svetta il Washington Monument, il famosissimo obelisco alto 170 metri  ( sulla cui presunta forma fallica circolano battute e doppi sensi), e a sinistra splende la cupola del Capitol Hill, dove si riuniscono le due camere legislative del governo federale. Nel mezzo la distesa del National Mall, lunga in tutto 1,9 miglia ( tre chilometri), che decidiamo di percorrere lungo il bordo a piedi. Oltrepassiamo un giardino pieno di sculture e installazioni d'arte e musicali (l'Hirsh Horn), e poi foto alle fontane e agli stagni con ninfee dello Smithsonian Institution, un edificio che ospita innumerevoli musei tassativamente gratuiti per esplicità volontà del fondatore James Smithsonian e degli altri finanziatori, anche privati. 




Passeggiamo fino alla base del Capitol Hill, dove facciamo di parole con un tedesco e uno spagnolo anche loro in vacanza. Ripercorriamo il National Mall al contrario sul lato opposto, e poi entriamo al National Air and Space Museum, dove i turisti si accalcano per vedere il velivolo dei fratelli Wright e il modulo lunare Apollo 11, che sbarcò sulla Luna nel 1969. Altra tappa all' United States Holocaust Memorial Museum, costruito per ricordare la Shoah degli ebrei e altri stermini di massa del mondo. Molto toccante la Stanza del Ricordo, dove i turisti accendono candele sotto ai muri che portano scritti i nomi dei  campi di concentramento più famosi della seconda guerra mondiale. Fa una certa impressione anche la struttura del museo, che per le pareti in mattoni rossi e le grate in ferro  alle finestre rievoca l'atmosfera dei lager. La scritta all'uscita "Think about what you saw" lascia in bocca un sapore po' amaro ma anche lo stimolo a riflettere...



Sempre sotto il sole cocente, ci dirigiamo al West Potomac Park Paddle Boats, da cui si vede, al di lá di uno specchio d'acqua il Jefferson memorial: per la cupola ricorda troppo il tempio del Canova di Possagno! (per chi della zona lo conosce). Ci avviciniamo al "fallo" per vederlo da sotto (maliziosi!), poi ci siamo diretti al Vietnam Veterian Memorial: due pareti inclinate in marmo nero a forma di V dove sono incisi i nomi dei 58 mila soldati morti  nella guerra del Vietnam. Decidiamo di rientrare in albergo ("me sto a squaglià" cit. Tony), non prima di aver fatto una foto davanti alla facciata della White House. Michelle Obama ci aveva invitato per un caffè, ma abbiamo rifiutato per non causarle troppo disturbo. 



In camera per una rinfrescata e poi recuperiamo Lady Picca per raggiungere il Pentagono e l'Arlington National cemetery.

"Welcome to Virginia" recita un cartellone stradale: e così oggi passiamo in un altro stato. L'aria è caldissima, la gola ancora più secca. Quando leggiamo "Pentagon south parking", ci infiliamo in una parcheggio proprio a fianco dell'edificio dalla famosissima forma geometrica dove ha sede il dipartimento della difesa degli Stati Uniti. Si tratta del più grande edificio di uffici del mondo.
Per una visita degli interni è necessaria la prenotazione; così seguiamo le indicazioni per il "Pentagon memorial": dedicato alle 184 persone, uomini, donne e bambini, morti l'11 settembre nell'attacco al Pentagono.
Il posto è davvero suggestivo: 184 panchine illuminate sono state disposte per fila in base all'età delle vittime, dalla più giovane (Dana, tre anni) alla più vecchia (un uomo di 71). Quelle rivolte verso il Pentagono indicano le vittime decedute all'interno dello stabile; quelle dirette verso l'esterno ricordano le vittime decedute in cielo, a bordo dell'aereo. Anche il muro circostante è ricco di significato: la sua altezza varia da 3 inches (9 cm) a 71 (sempre come le età della vittima più giovane e di quella più anziana).




Tony riesce a ottenere parte di queste info da un militare che sta uscendo dal Pentagono in quel momento, e che, guarda caso, è stato di stanza a Testaccio, zona di Roma. Le coincidenze!


Prima di andare  a cenare, è la volta dell'Arlington national cemetery, cimitero militare inaugurato durante la guerra civile americana su una distesa di oltre due chilometri quadrati. Qui riposano più 300 mila soldati americani e i resti di personale in servizio e ausiliari che hanno servito in tutte le guerre combattute dagli Usa, dalla guerra di indipendenza all'Iraq.  Una fiamma brucia costantemente sulla tomba di Kennedy, e le lapidi bianche, le stesse del film Salvate il soldato Ryan, si perdono a vista d'occhio.




Un inserviente ci avverte che abbiamo "just ten minutes", perché poi il cimitero chiude.
Ultima visita al Jefferson memorial, il "tempo canoviano" di Washington che ospita una statua gigantesca del presidente e alcune sue frasi celebri.


A questo punto siamo esausti: secondo i calcoli abbiamo percorso più di 15 chilometri a piedi oggi! E' tempo di mangiare: un po' in periferia becchiamo per caso un locale che ci ispira, il "Khan's": una volta scelto il piatto e la carne che si preferisce, con una ciotolina ci si rifornisce a buffet di verdure e "noodles" (una specie di spaghetti) e poi si va direttamente dal cuoco che cucina sulla piastra davanti ai propri occhi.




Dany e Ale si danno al piccante con risultati disastrosi (il bruciore è insopportabile, ma riescono a finire).
Qualche scatto al Capitol Hill e alla Casa Bianca by night per salutare Washington come si deve.




Poi non ci resta che stramazzare a letto.
Domani road to Pittsburgh! Si punta verso nord!


Adesivi attaccati a Washington: 4
- stazione della metropolitana, fermata "Smithsonian";
- palo semaforo prima del Capitol Hill;
- cestino davanti alla Casa Bianca;
- palo della luce dietro il Capitol Hill.


Cose degne di nota
- la temperatura ha raggiunto i 100 ° F (37 °C);
- circa 15 chilometri di camminata;


Dove abbiamo mangiato
Khan's bar & grill
Indirizzo: 1125 H street NE
Consigliato: sì
Prezzi accettabili (sui 15$), non lontano dal centro, personale cortese, si può assistere alla cottura dei piatti.
Slogan: "good food, good people, good time"



dritti alla capitale!


Lasciata la Pennsylvania, entriamo nel District of Columbia. Qualche problemino con il tom tom (che all’inizio sembra non sapere dell’esistenza di Washington!), ma alla fine, verso le 19.30, vediamo spuntare “er cupolone” del Capitol Hill e l’obelisco del National Mall (ribattezzato “fallo” per l’occasione…).
Per due notti alloggeremo al “The George Washington University Inn”: la posizione è ottima, ci troviamo in una zona residenziale e universitaria con casette a schiera. Eppure nella guida ci avevano messa in guardia per l’elevata criminalità! Quando usciamo per cenare, un signore ci dà indicazioni per il Marshall, locale piccolo ma caratteristico: “abbuffata” di 5 hamburger più coca e birra. Ma la palpebra cala, siamo “divelti” (cit. AleTun): decidiamo di rimandare la visione notturna della Casa Bianca a domani sera. Per ora doccia e nanna.
Da Washington D.C. è tutto.
A domani!

Road to Philadelphia


Speranze subito infrante: un incidente ci tiene fermi mezz’ora,  causando un piccolo ritardo sulla tabella di marcia.
Mai paura, comunque. Dopo l’arrivo dell’elicottero, il traffico si sblocca e ripartiamo.

“Sbarchiamo” a Philadelphia alle 13.30: eccitatissimi vediamo lo skyline della “sorella minore di New York” stagliarsi all’orizzonte. “Go Phillis” recitano i muri della periferia incitando la squadra di baseball locale.
Philadelphia è molto diversa da NY: la maggior parte delle case sono costruite in mattoni rossi, vecchio stile, e si alternano agli edifici nuovi sorti negli ultimi anni.
Onore al merito per il parcheggio a S di AleTun con Lady Picca. Poi ci dirigiamo verso l’Indipendence Hall: “luogo di nascita del primo governo americano, in cui i delegati delle 13 colonie si riunirono il 4 luglio del 1776 per ratificare ufficialmente la Dichiarazione d’indipendenza.
Attacchiamo l’adesivo dei 5 pazzi nell’Indipendence Square, dove la Dichiarazione venne letta al pubblico per la prima volta.
Pausa hotdog sulle panchine della Washington Square, e poi via verso il City Hall, municipio cittadino e più alto edificio del mondo costruito in muratura senza strutture in acciaio.
Capatina per Vale&Bea in Walnut street, 1414, per foto di rito davanti a Tiffany. “Mamma mia! Due Tiffany in due giorni!” (cit. Vale).
Mentre Ale e Dani recuperano Lady Picca, Tony, Vale e Bea visitano i dintorni: una piazzatta riproduce un tavolo da gioco gigantesco con le pedine della tombola, della dama, del domino e degli scacchi; più avanti in una piazzetta chiamata “Love” una fontana si è trasformata in una piscina per bambini.
Ultima meta a “Philly” il Philadelphia art museum, attraverso il Benjamin Franklin parkway, che è stato progettato sul modello degli Champs Elysées parigini.  Nel 1976 la grandiosa scalinata dell’ingresso del museum fece da sfondo alla famosa scena del film Rocky, interpretato da Sylvester Stallone. E proprio lo “stallone” dei 5 pazzi on the road, Tony, dotato di felpa con cappuccio e grinta vincente,  interpreta il famoso pugile salendo a tutto fiato fino alla cima della scalinata (che stesse per inciampare non è un dettaglio da trascurare! Copiose le risa degli altri quattro e dei turisti presenti).
Qualche foto da cartolina sullo sfondo di Philadelphia e poi di nuovo on the road. Direzione: Washington.
Bye bye Pennsylvania!

198 YPR

Vi presentiamo Lady Picca  

Lady Picca 


Lady Picca


















Colei che ci porterà, attraverso i  6 mila chilometri fino al Pacifico!


È una Toyota Sienna, bianca, 7 posti, 10 porta bicchieri, interfaccia Iphone/Ipod gestione dal monitor dell’autoradio… e lo carica anche!!!! Videocamera nella targa posteriore utile per la retromarcia (viste le dimensione di Lady Picca), vetri oscurati, braccioli per ogni sedile, possibilità di stendere le gambe… in ogni sedile!!! Sedili “camosciati’ color Caetus ( la nostra mascottina), cambio sequenziale!







Grazie al Dany siamo usciti illesi da New York e abbiamo raggiunto il Walmart nel New Jersey
Un po’ di acquisti per il viaggio: Tom Tom, frigo in polistirolo, ghiaccio per il frigo, Inverter DC to AC abbiamo la corrente in macchina!!! E vari generi alimentari contro i cali di zuccheri.







Alla guida adesso c’è Ale che ha preso subito confidenza con Lady Picca. Traffico scorrevole, limite di velocità a 65 miglia all’ora (“A 65 ci sorpassano anche i cani! – Ale – “Ce so’ e lumache che te fanno i fari!” – Tony - ).

Tempo di arrivo previsto a Philadelphia: 12.43.