domenica 7 agosto 2011

Detroit, la città "rude"

Se è vero il detto “in vino veritas”, l’incontro di ieri sera in un bar di Toronto ne è stata la dimostrazione: entriamo a bere una birra, e un signore seduto al bancone, con il bicchiere mezzo vuoto in mano e altri vuoti nelle vicinanze,  attacca subito bottone.
Suo padre è di origini calabresi, dice. "Dove siete diretti?” chiede. “Detroit” rispondiamo noi. “Mmm…” mormora scuotendo la testa. Scopriamo che la nostra meta non solo è “ugly”, “brutta”, ma anche che, se ci si passa, è meglio correre più veloci che si può (“go as fastest as you can”) e che per visitarla bisogna essere muniti di coraggio. “Be brave”, ci dice proprio.
Ottima premessa!

N.B. in questo locale, ma non solo, quando abbiamo ordinato qualcosa di alcolico, ci hanno chiesto la carta d’identità. Meglio averla sempre dietro (in alternativa il passaporto va bene).

La mattina dopo lasciamo Toronto (e 6 adesivi attaccati in tutto) sotto una pioggia torrenziale senza riuscire a immaginare bene cosa ci aspetta.
Anche la guida non è ottimista: “Dite a un qualsiasi americano che volete visitare Detroit, e poi state a guardare come si inarcano le sue sopracciglia e l’aria interrogativa che si dipinge sul suo volto. Vi domanderà: ‘Perché?’, mettendovi in guardia sul tasso di omicidi sopra la media. Concluderà dicendo: ‘Detroit è un postaccio! Evidentemente la “motor city” ha qualche problema di immagine”.

Fermata al distributore per fare benzina e “sbolognare” un po’ di soldi canadesi: tra gli altri abbiamo raccolto in tutto 15$ in monetine! “Guarda se me tocca fà ‘a broda coi centesimi!” (cit. Tony).

367 km ci separano da Detroit.
A parte la pioggia (in certi momenti non si vede niente!), il viaggio prosegue tranquillo.

Vicino a Woodstock (non quella del famoso concerto del 1969, che è nello stato di New York, ma una omonima) tagliamo il traguardo delle 1000 miglia percorse: avanti così, guys!
Verso mezzogiorno raggiungiamo il confine che separa Usa e Canada. Il passaggio avviene senza problemi: “three box” (3$) di pedaggio e due chiacchiere con l’addetta ai controlli doganali che si rivela disponibile e ci dice che è stata in Italia in passato e che “it’s really wonderful!”.
La prima cittadina che incontriamo è Port Huron, nel Michigan, sulle rive del lago StClair. Attraversiamo un quartiere di casette in legno bianco davvero caratteristico (sembra la Cabot Cove della serie La signora in giallo).
Quindi pranzo da McDondald, dove mangiamo il panino con il bacon più buono del mondo!
Nel parcheggio un signore in macchina con la moglie si offre di farci una foto ricordo davanti al tabellone gigante del Mc (sono proprio simpatici questi americani!). Solita reazione entusiasta quando scopre che siamo italiani (qui ci amano proprio!), un po’ meno quando gli raccontiamo che siamo diretti a Detroit. “Just be careful”, “Fate attenzione”. E allora!
Mai paura: esploriamo curiosi la zona del porto e del faro; complice anche il sole, scatti pazzi sulla spiaggia…


Prima di entrare nel centro di Detroit, decidiamo di affrontare la rude “motor city” facendo un giro… allo zoo! (12$ l’ingresso per gli adulti). Il Detroit zoo, a una decina di miglia dalla città, è uno dei più antichi e famosi del paese. Le prime attività con gli animali risalgono al 1883, e gli spazi sono progettati per ospitare moltissime specie in recinti o vasche che siano il più ampi possibili.
Siamo troppo eccitati!

Ci sono i rettili (tartarughe, serpenti e coccodrilli)…
… i cammelli, che si mettono in posa al nostro passaggio…
…la tigre, che sonnecchia pacifica…
… i macachi e le scimmie…
… i rinoceronti (giganteschi dal vivo!)…
… le zebre…
… le antilopi…
… le giraffe…
… l’ippopotamo…
… il grizzly Polly…
… i bisonti…
… i cani della prateria, che ci consentono di fare una foto assieme a loro grazie a degli “oblò” che spuntano dal prato…
… le alci…
… l’aquila…
… i cavalli selvatici...
… i canguri e gli emu dell’Outback australiano…
… i formichieri (troppo buffi)…
… i fenicotteri…
... spettacolare anche l’Artic ring of life, la riproduzione più grande al mondo dell’habitat polare. C’è un “polar bear tube” dove foche e grossi orsi polari nuotano sopra la testa dei visitatori. Gli orsi hanno fatto i preziosi e non si sono fatti vedere, ma osservare le foche passarci vicino è stata un’emozione.
Ultimi i pinguini, che con i loro movimenti goffi attirano la simpatia di grandi e piccoli...





Non poteva mancare Caetus con la sua nuova amica, la tartarughina "Scorza"!

E' subito vero amore!
Un quarto d’ora di strada ed entriamo a Detroit. Sono le 17.30.
Individuiamo con facilità l’albergo, il Courtyard Marriott: notiamo subito la prevalenza di gente di colore (schiacciante prevalenza), ma la hall è splendida, il personale gentile e la camera è grande, la più grande che abbiamo trovato fino adesso (come accomodation la consigliamo!).
Dani e Tony fanno un giro di ricognizione nei dintorni; gli altri tre pazzi scelgono la piscina. Ce ne sono due, una per nuotare e l’idromassaggio. Non c’è nessuno, sono tutte per noi! Attraverso i vetri la vista della città è splendida.

Belli rilassati, decidiamo di dare un’occhiata alla zona, nonostante tutte le brutte storie che abbiamo sentito. In fondo ci dispiacerebbe andare via senza aver messo il naso fuori dall’albergo, e poi, non saranno tutte leggende metropolitane quelle che abbiamo sentito? Scegliamo comunque una soluzione in sicurezza, per precauzione: il People mover, un trenino sopraelevato su monorotaia che, su un percorso di 5km e con soli 0,5$ di pedaggio, ti permette di fare un giro completo della Downtown in 20 minuti.


Tutto tranquillo: sul trenino salgono un gruppetto di ragazzi e ragazze di colore e qualche famiglia; chiacchierano, battono le mani, fanno chiasso, ma niente di più. Vero, siamo gli unici bianchi, ma in fondo l’America da visitare, oltre alle mete “ufficiali” e turistiche, è anche questa, fatta delle persone che si incontrano sui mezzi pubblici, al centro commerciale o nel parcheggio di un McDonald.
Passiamo davanti allo stadio di Detroit, che è il più grande di tutti gli Stati Uniti. I quartieri che vediamo sono molto curati, con tanti negozi e zone verdi, ma quello che inquieta è la quasi totale mancanza di passanti. Sembra una città fantasma. Anche il centro commerciale che si trova di fronte all’albergo (un “mostro” di cemento chiamato “Renessaince centre”, dove la General Motors espone le sue automobili) è praticamente deserto. Sarà perché è domenica, ma ristoranti e bar sono chiusi, anche se la struttura è nuova e dal design moderno e sofisticato.

Altra cosa che si nota è la contrapposizione dei grattacieli con edifici molto vecchi o semi distrutti: Tony scopre in internet che parecchie comunità di neri degli stati del Sud sono emigrate a Detroit dopo la Seconda guerra mondiale. La convivenza con i “bianchi” ha dato origine a forti tensioni sociali, che hanno causato, nel 1969, una rivolta estesa sfociata nell’incendio di numerose abitazioni. Si racconta che, ancora oggi, quasi ogni anno, la notte di Halloween (detta per questo “notte del diavolo”) si ripeta lo stesso episodio, e più edifici vengano letteralmente dati alle fiamme!
Ma a noi la città "rude" del Michigan si è rivelata soprattutto nelle sue bellezze architettoniche, e nella sua capacità di farci sentire per qualche ora cittadini del mondo, come si dice. Con noi è stata ospitale, dopo tutto.
Senza andare troppo in giro, ceniamo al bar lounge dell’hotel, con insalatone, fish&chips e birra light.
Domani sono previste 4 ore di macchina fino a Chicago, perciò a letto presto.
Good night to everyone!